top of page

Il monologo della banana


Sono una banana.

Sono bionda, alta, slanciata. Non dovrei avere problemi sul mercato. Eppure in questi ultimi anni mi sento discriminata.

In realtà ho sempre goduto di ottima stima, pur essendo straniera. Grazie alle mie antenate, sono diventata famosa anche in Europa diventando una presenza quotidiana nelle fruttiere di tutte le famiglie italiane – perché si sa, non vado nel frigorifero. E pensare che provengo dai paesi tropicali e sono stata pure etichettata. Un bollino blu che per molti altri sarebbe considerato oltraggioso: è stato la mia fortuna.

E poi, a parte l’imbarazzante accostamento ad alcune parti del corpo, il mio nome, praticamente universale, ha sempre evocato gioia di vivere, allegria, spensieratezza…

Però, mi tocca dirlo… Come tutte le bionde di successo, ovviamente di naturale non ho nulla.

E’ bello pensare che venga colta da banani di isole tropicali assolate sulle rive di una spiaggia. Ma…tanto per precisare: nessun banano sorge su una spiaggia. E non solo. Voglio essere completamente sincera con voi: nessun banano cresce naturalmente. Così come le donne nell’età della seduzione non sono come le vedete voi uomini, ma hanno bisogno di trucchi, accorgimenti e depilazioni, noi nasciamo in un territorio finto, non naturale, creato ad hoc per noi. Che ci rende belle, invitanti, bionde. Finte, sì, ma “così naturali”.

Vi voglio raccontare una cosa…Anni e anni fa, eravamo anche rosse, verdi, viola. A volte dolci, a volte acide… come capita a tutti. Vivevamo nella giungla, libere e selvagge. Particolarmente apprezzate ma solo da un’elite ristretta di abitanti del luogo. E così è andata fino a 150 anni fa.

Poi ci fu chi ci scoprì, diciamo così: Samuel Zemurray, uno schiavista russo che iniziò dal mercato dei maiali per arrivare a noi banane, come molti agenti di oggi nel mondo dello spettacolo, per intenderci. Non riesco ancora a capire se fu il nostro salvatore o no: ma ci mise le mani addosso e ci modificò. Così come venne fatto anni dopo con la pecora Dolly in quel modo che destò tanto scalpore tra voi umani.

Ma erano altri tempi, nessuno mi difese. Nessuna Erin Brockovich, nessun avvocato delle grandi cause.

Si decise che dovevo essere bionda e dolce –ma non troppo. E così la mia capanna venne rasa al suolo e le mie antenate rosse naturali perirono.

Venni trasferita con le mie sorelle in squallidi monolocali nella periferia di Honduras –chiamate nuove piantagioni, e messa a fare la tinta Cavendish da milioni di parrucchieri sottopagati, tutti al nostro servizio. Guardate che nella Repubblica delle Banane, cari italiani, siamo nate noi, eh? Voi state usando questo termine senza sapere da dove venga. Ora sembriamo poco serie, considerando la nostra provenienza da paesi servili nati appositamente per farci il casco, ma non potete immaginare il lavoro che c’è dietro al nostro essere-banane!

Come tutte le straniere, ai palati altrui, avevamo quel sapore esotico e nello stesso tempo genuino che fece la nostra fortuna. Sapevamo essere mansuete e rassicuranti come le biondine acqua e sapone della porta accanto, pur portando con noi mondi nascosti e misteriosi. Piacevamo anche ai bambini –perché semplici da svestire e pronte all’uso, un po’ come le Barbie e i Ken.

E invece ora è cambiato tutto..

Sì, perché ormai questo giochino ci ha svalutate completamente. Siamo diventate onnipresenti: mica come l’uva e le altre che se la tirano fino a una certa stagione e poi via, si concedono senza pietà. Tuttavia, se ci pensate, nonostante il loro atteggiamento lascivo e a dir poco discutibile, uva, ciliegie, ..more suscitano molta più approvazione e ammirazione di noi che invece sgobbiamo tutto l’anno. Come dire: noi ci siamo sempre come le bravi mogli cornute, come gli assidui genitori e poi i mariti fedifraghi e i figli viziati si ci danno per scontato!

Secondariamente, fateci caso: sul mercato costiamo meno di una pesca. Una pesca, capite? Una di provincia con dei colpi di sole da parrucchiere di seconda mano, sgraziata e, senza ombra di dubbio, con molti chili da smaltire, vale più di noi banane che- l’ho detto e lo ripeto!- ci siamo sempre, nella gioia e nel dolore, nello spuntino e nel pic nic.

Sappiate –tanto per regolarvi- che sono sopravvissuta al primo morbo delle banane e sopravviverò anche al secondo, grazie alle mani di scienziati spregiudicati che creeranno una nuova tinta anche al prossimo, alla faccia dello scoiattolo grigio che invece non ce la farà!

Per questo mi rivolgo a voi con questo monologo. E vi chiedo : ma vi sembra giusto?

Io, esiliata dalla mia terra, costretta a vivere nei bassifondi della Repubblica delle Banane, migrante, messa a dura prova da viaggi estenuanti per raggiungere l’Europa.

Io, colta prima di diventare matura, ancora ragazzina acerba, sfruttata sul lavoro.

Io, che non ho un copyright e metto a disposizione la mia immagine allegra e gioiosa su magliette e gadgets provenienti da tutto il mondo.

Io che, tuttavia riesco a mantenere la mia blonde attitude , vengo denigrata in questo modo? Sorpassata da una pesca, e magari anche da una stupida albicocca?

E tutto questo per costare meno di 2 euro al chilo?

Non stupitevi se poi divento nera!

Chi sono io 
sono la baobabba storyteller e questo è il mio blog con i racconti che ho scritto in questi anni
Altri racconti
Cerca
Non ci sono ancora tag.
Seguimi
  • Facebook Basic Square

La Baobabba

storyteller

bottom of page